È difficile riuscire a parlare con leggerezza di argomenti piacevoli dopo tutto quello che è successo, ancora e ancora, negli ultimi giorni.
La politica mondiale spaventa ogni giorno di più e anche in Italia la situazione non sembra dare molte speranze.
Quello che mi ha sconvolto ancora una volta sono stati i femminicidi di Sara Campanella, sgozzata a Messina e di Ilaria Sula, fatta a pezzi, chiusa in una valigia e gettata da un dirupo. Tutte e due studentesse universitarie di 22 anni.
Oltre la tragedia, la paura della portata di queste notizie, quello che mi fa spaventa moltissimo è il modo in cui ancora parliamo di questi fatti di cronaca, di come tante persone si sentano sicure di poter commentare trovando giustificazioni e a dare forza a questa narrazione, ci sono giornalisti che ancora insistono con un linguaggio che dovrebbe essere considerato inaccettabile e che invece viene usato come nulla fosse.
Ne parla molto bene Silvia Grasso in un articolo scritto per Wired, Non si muore perché si rivendica troppa indipendenza: come non si racconta un femminicidio, spiegando come siamo ancora fermi ad una narrazione sbagliata che cade spesso nella vittimizzazione secondaria e non affronta la vera questione culturale.
Sempre nell’articolo viene giustamente citato anche Adolescence, la mini serie di Netflix che sta facendo parlare moltissimo e che ho visto qualche settimana fa.
Non è una serie facile, questo l’avrete ben capito dai migliaia di articoli che sono usciti sull’argomento, ma vederla è importante perché racconta molto bene un fenomeno che esiste non solo tra gli adolescenti, ma anche tra gli adulti e che forse per la prima volta mette al centro la storia di un ragazzino normale che commette qualcosa di agghiacciante.
Tocca tanti temi senza bisogno di grandi spiegazioni, siamo davanti allo schermo senza fiato e per la prima volta ci rendiamo conto che in quella situazione potremmo esserci tutti e tutte. Potremmo essere sua madre, sua sorella, suo padre, un compagno di scuola, un insegnate, la direttrice, siamo noi che viviamo l’orrore di una storia che potrebbe toccarci molto da vicino e la scelta di girare tutto in un’unica ripresa lo rende ancora più coinvolgente.
Non puoi staccare anche tu lo sguardo. Sei lì, con quel ragazzino dal volto angelico che piange disperato dicendo di essere innocente e vorresti solamente aiutarlo e calmarlo.
Empatizzare con ognuno dei personaggi è incredibilmente facile e credo che siano tanti i meriti di questa miniserie che ha portato alla luce un tema che negli ambienti femministi era già noto ma che al grande pubblico evidentemente sfuggiva in quanto si preferisce sempre pensare che le femministe siano delle esaltate estremiste piuttosto che ascoltarle e mettere in discussione un mondo che è sempre stato misogino.
Con il rischio di rendere questa newsletter la più pensante di sempre, vi condivido la mia ultima lettura, "Triste Tigre” di Neige Sinno.
Vincitore del premio Strega Europeo 2024, Neige Sinno ci parla degli abusi sessuali che ha subito dal suo patrigno quando aveva circa 9 anni.
Un libro scritto in prima persona, in cui cerca di interrogarsi su tutto quello che avviene anche dopo che l’incubo è finito, dei pensieri, delle paure, delle perversioni che inevitabilmente si insinuano nella testa di chi ha vissuto un dramma del genere, cercando di trovare le parole per raccontare qualcosa che non dovrebbe essere nemmeno concepito. Neige Sinno lo fa usando parole semplici che dichiarano l’irreparabilità del danno che ha subito per farne una testimonianza collettiva. Sembra assurdo come certi fatti siano tenuti nascosti dalle famiglie stesse, su come non se ne voglia parlare se non in termini di vittima e carnefice, quando invece le sfaccettature sono molte e la vita continua per tutti. Ma cosa ne resta dopo?
Un libro difficile, a tratti anche scandaloso ma che va letto perché, come scrive Libération, moltiplica i punti di vista per non far rimanere sole le vittime di fronte la catastrofe.
Devo ammettere che quando avevano annunciato la serie di L’arte della gioia ispirato al libro di Goliarda Sapienza, che ho amato moltissimi e di cui ho parlato anche nel Podcast
ero piuttosto preoccupata e lo sono stata ancora di più quando era uscita la locandina della serie.
Mi sembrava tutto eccessivamente sessualizzato, per quanto il sesso sia sicuramente uno dei tratti più significativi e sicuramente insoliti per un romanzo ambientato ad inizio Novecento.
Ed invece mi sono dovuta ricredere, la miniserie diretta da Valeria Golino e scritta a più mani insieme a Francesca Marciano, Valia Santella, Luca Infascelli, Stefano Sardo merita davvero.
Confesso solo una cosa: non avevo capito che l’ultima puntata fosse l’ultima.
Ma cercando un po’ di commenti in giro mi pare di essere stata solo io a non capirlo, dunque forse non è stato un finale incompleto anche rispetto al libro.
Comunque sì, se ve lo state chiedendo è meglio il libro.
Sperando che il vostro weekend sia più leggero di questa newsletter vi saluto e vi ricordo ancora che venerdì 11 aprile alle 21 ci sarà la diretta di Polo Nerd per il duecentesimo episodio, ecco il link per seguire la diretta:
Cliccando su “Avvisami” attiverete in promemoria, anche per i meno nerd come me, l’episodio sarà piacevole in quanto risponderanno a svariate domande e con i commenti potrete intervenire in diretta!1
Mi raccomando, non mancate!
A tutto ciò che ha scritto Silvia e che ovviamente sottoscrivo anche negli spazi tra una parola e l’altra, ricordo una cosa importante che deve dire un uomo: la responsabilità è di noi uomini. Non è colpa, è responsabilità, ma dobbiamo assumercela e lottare affinché lo schifo che ci circonda cambi. Educhiamo i nostri amici, i nostri figli, i nostri capi. Smettiamo di far finta di niente davanti a qualunque uscita sessista o misogina anche minima. Smettiamo di romanticizzare i colpevoli e colpevolizzare le vittime. SMETTIAMO DI CHIAMARLI MOSTRI. Non sono mostri. Sono figli sani del patriarcato. E la responsabilità è nostra.
In un vecchio episodio ascoltabile a questo link abbiamo parlato di X, di Daniel Sloss. Andate a vederlo qui e cercate di accettare ciò che vi dice.
E mettetevi in testa che se non siamo parte della soluzione, siamo parte del problema.
Dai, che ci divertiamo, dai dai dai dai (NdS)